La speranza cristiana, tra cielo e terra

Orientamenti per l’anno pastorale 2024-25

(Foto: Siciliani-Gennari/CEI)

1. Carissimi fratelli, carissime sorelle, siamo alle porte del Giubileo ordinario del 2025, che il Papa Francesco ha indetto con la Bolla Spes non confundit il 9 maggio 2024, incentrandolo sulla speranza. Durante l’Assemblea diocesana dei giorni 7 e 8 ottobre, ci siamo soffermati su questa virtù teologale, approfondendone nei laboratori i legami con le altre due virtù teologali, la fede e la carità.

Guardiamo allora a come possiamo incarnare alcuni aspetti della speranza nella nostra vita e in quella della nostra Arcidiocesi.

Una speranza certa

Il Giubileo

2. Per andare avanti, abbiamo bisogno della speranza. Tutti noi speriamo. La speranza è necessaria nella quotidianità, ma ancora più quando la lotta tra il bene e il male si profila con grave drammaticità. Ci può essere capitato di essere raggiunti — nella nostra persona o in quella di qualcuno a noi caro — da una malattia seria, per la quale non ci sono consistenti prospettive di guarigione. Il cielo si serra sopra di noi, un muro altissimo si erige davanti a noi nel sentiero che percorriamo. Poi giunge il medico, visita l’ammalato e, dopo aver mantenuto per un po’ il silenzio, scioglie la riserva e dice: «c’è speranza». In questo «c’è speranza» il cielo si riapre, il muro si sgretola, riprendiamo fiducia nel futuro e ci ripercorre per tutte le membra la voglia di vivere.

La speranza è prevedere un bene davanti a noi, e sentirsi protesi a raggiungerlo. Succede un po’ come per certi uccelli, che ordinariamente si spostano per mezzo delle zampe, ma quando sono in pericolo utilizzano anche le ali. Grazie a queste ali di riserva riescono a raggiungere la salvezza. Ecco, come avrebbe detto don Tonino Bello, la speranza è questo paio di ali di riserva, che ci permette di volare verso il bene che ci attende.

3. Ma che cosa concretamente speriamo? Qual è il bene che desideriamo davanti a noi? Se alcune dimensioni sono condivise con gli altri esseri viventi, i vegetali e gli animali, come il bisogno di mantenersi e svilupparsi della vita biologica, l’uomo percepisce tuttavia in sé una diversità, una proprietà che lo rende unico. È una scintilla di spirito nel suo essere materiale, un’impronta che Dio ha lasciato nell’uomo e solo nell’uomo, e che rende l’uomo come un’immagine di Dio: l’anima.

Immergendosi nella propria anima, l’uomo sperimenta di essere abitato da un triplice desiderio. Il desiderio della verità, di conoscere il senso della realtà, la sua causa e il suo fine, il significato della gioia e del dolore, il valore della vita e della morte. Dopo la vita sulla Terra c’è qualcos’altro? E Dio esiste? E se esiste, è possibile mettersi in comunicazione con lui?

Nell’anima avverte inoltre il desiderio dell’amore. A che servirebbe, infatti, scoprire la verità se questa non coincidesse con l’amore, riducendosi ad un diamante splendido come la luce ma freddo come il ghiaccio? L’uomo ha desiderio di ricevere amore. Le sue ferite nascono tutte dall’essersi sentito non amato in qualche momento della vita, non riconosciuto nel proprio valore, non pienamente valorizzato. E viceversa egli guarisce quando fa l’esperienza di essere amato, accolto e apprezzato per se stesso, attraverso l’affidamento di un compito o anche attraverso una carezza, un sorriso, un ringraziamento. L’uomo ha anche desiderio di trasmettere amore. Non ha senso sacrificarsi e costruire, se non c’è qualcuno per cui farlo, qualcuno per cui valga vivere e morire, qualcuno a cui offrire se stesso dicendo: «Ecco, tutto ciò che io sono, ciò che ho, ciò che faccio, è per te. Io vivo per te. Io ti amo».

E infine l’uomo reca in sé il desiderio dell’eternità. Se infatti nella sua condizione, insieme a dei mali, riscontra dei beni, a che valgono questi se prima o poi periscono, dissolvendosi nel nulla? Un bene è veramente tale solo se è per sempre, solo se è capace di durare per l’eternità.

Sant’Agostino ci mostra che questo triplice desiderio è in realtà un desiderio unico con tre dimensioni, è un desiderio di Dio, che è Verità, Amore ed Eternità. Dio stesso ha posto nel cuore dell’uomo tale desiderio, affinché l’uomo cerchi e trovi in Dio il proprio compimento: «Ci hai fatti per te, o Dio, e il nostro cuore è inquieto finché non trova pace in Te» (Confessioni I, 1).

4. Ma ciò che speriamo, ciò che desideriamo incontrare nel nostro futuro, è realistico o vive solo in una nostra illusoria strategia di accompagnamento a gestire il mistero del male?

Ora, per i cristiani la speranza è una «speranza certa», come si esprime san Francesco d’Assisi nella Preghiera davanti al Crocifisso, perché essa ha un nome. Non è qualcosa ma qualcuno. La nostra speranza è il Signore Gesù, è lui il bene che ci sta davanti, anzi che viene incontro a noi. Nel Signore Gesù, il Padre si china su di noi e ci dice «c’è speranza». Il Signore Gesù è colui, nella cui Risurrezione, Dio Padre pronuncia la parola definitiva sulla storia: l’amore è più forte del male e la vita più forte della morte. Già nell’Incarnazione fino all’abisso della Croce, e quindi nella glorificazione della Risurrezione che culmina nell’Ascensione e nel dono dello Spirito, il Signore Gesù fa entrare infatti l’eternità nel tempo e il tempo nell’eternità, stabilendo un carattere decisivo, perché non vi è speranza definitiva se il bene non è nell’orizzonte dell’eternità. Dunque, come afferma l’Apostolo Paolo, «spes non confundit» (Rm 5,5): la speranza cristiana è certa e non delude.

Quella scaturita dalla Pasqua è, così, una speranza tra cielo e terra. Nel linguaggio biblico, la terra è ciò che si trova sotto il cielo, è la dimora che Dio ha dato all’uomo, come canta il Salmo 115: «Siate benedetti dal Signore che ha fatto cielo e terra. I cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo» (15-16). A motivo della limitatezza dell’uomo, la terra è simbolo di una condizione che non corrisponde pienamente alla volontà di Dio. Per questo il Signore Gesù insegna a chiedere al Padre che si compia la volontà di Dio «come in cielo così in terra» (Mt 6, 10). Per contro il cielo è la dimora di Dio, il luogo dove la realtà corrisponde in tutto alla volontà di Dio, ed è dunque il simbolo della comunione piena con Dio e con la sua vita. Il Signore Gesù, dopo la conclusione della sua missione nello spazio e nel tempo, ascende al cielo, con l’umanità assunta nell’incarnazione entra nella piena unità con il Padre. Maria Santissima, concluso il suo cammino terreno, viene assunta in cielo, raggiunge con l’anima e con il corpo, cioè con tutta la sua persona, la meta dell’incontro con Dio. Il cielo è perciò Dio stesso in quanto eternamente raggiunto, è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.

Con ragione nella Sequenza pasquale cantiamo che «Morte e Vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto; / ma ora, vivo, trionfa». E la Maddalena, interrogata su quello che ha visto, risponde: «La tomba del Cristo vivente, / la gloria del Cristo risorto, / e gli angeli suoi testimoni, / il sudario e le sue vesti. / Cristo, mia speranza, è risorto: / precede i suoi in Galilea». Cristo risorto è egli stesso la nostra speranza, è il fondamento della nostra gioia. Siamo dunque chiamati a vivere il Giubileo come il tempo della gioia che scaturisce dalla speranza.

5. A livello diocesano, vivremo l’apertura del Giubileo il 29 dicembre 2024, e poi come Arcidiocesi saremo pellegrini a Roma dal 12 al 14 maggio 2025, in coincidenza con l’anniversario della canonizzazione dei Santi Martiri. Il 1° novembre diffonderò una Lettera, in cui verranno illustrate tutte le componenti dell’anno giubilare nella Chiesa Idruntina.

Non c’è Terra senza Cielo

La fede

6. In quanto ci chiama a guardare in Alto, il Giubileo sarà un cammino di fede. Il Papa ricorda che quello del 2025 è orientato all’altro Giubileo, quello del 2033, in cui si celebreranno i duemila anni della Redenzione (Spes non confundit, 6). Ancora, nel prossimo anno ricorre il XVII centenario del Concilio di Nicea, tenutosi nel 325, in cui la Chiesa ha fatto un’affermazione fondamentale sull’identità di Gesù, e cioè che egli è «della stessa sostanza del Padre», come recitiamo ogni domenica nella professione di fede: la pienezza della divinità del Signore è la garanzia che egli sia effettivamente il Salvatore, qualcuno per cui valga la pena vivere e morire. Tutto ciò ci porterà a interrogarci sull’integrità della nostra fede e sulla conoscenza che ne abbiamo.

7. La speranza scaturisce dunque dalla fede e richiama i quattro momenti dell’iniziazione cristiana: l’annuncio del Vangelo, la conversione, la catechesi, i sacramenti.

Si comincia dunque con l’annuncio del Vangelo. Ieri, oggi e sempre, la Chiesa ha il compito di evangelizzare. Anche da noi, nonostante la forte appartenenza identitaria costituita dalle tradizioni cristiane per la cultura salentina, è necessario mettere al primo posto la missionarietà, sia all’estero sia nel nostro stesso territorio. È possibile far sì che la secolarizzazione, che dall’Europa Occidentale è ormai scesa nell’Italia Settentrionale, trovi nel nostro Sud la barriera di un nuovo impegno di evangelizzazione e di missione? E inoltre: non sarebbe indispensabile alla nostra Chiesa idruntina iniziare a scrivere una nuova pagina di missionarietà di sacerdoti e laici al di fuori dei propri confini, per esempio nella vicina Albania?

In questo ambito, sarà una benedizione la “Missione Giovani” che il Seminario Regionale di Molfetta terrà nella nostra Chiesa dal 2 al 9 febbraio 2025.

La conversione è il compito della vita quotidiana, ma viene favorita da tempi opportuni, come la Quaresima ogni anno, e appunto il Giubileo ordinario a cui ci prepariamo.

La catechesi è stata oggetto della Lettera Una bussola per iniziare alla vita di fede. Coordinate per i percorsi di annuncio, consegnata dai Vescovi delle Chiese di Puglia, in occasione del meeting di Bari dello scorso 21 settembre. Si snoda attraverso i verbi “abitare”, “annunciare”, “iniziare”, “testimoniare”. Chiedo a tutti i parroci e a tutti i catechisti che venga fatta oggetto di lettura e approfondimento, perché costituirà un forte sostegno a questo servizio nella Chiesa, che papa Francesco ha voluto riconosciuto da un apposito ministero.

I sacramenti dell’iniziazione sono un infinito tesoro di grazia. Il Cantiere della fede che si è riunito durante l’Assemblea diocesana ha fotografato con grande precisione la situazione riguardo l’iniziazione cristiana dei fanciulli, individuandone i punti deboli (il disinteresse dei genitori, il sovraccarico di impegni dei ragazzi, i catechisti di numero sempre minore e di età sempre maggiore), ma anche i punti di forza (le ricchezze umane delle persone che incontriamo, la grazia della Parola e dell’Eucaristia domenicale, la fedeltà della Chiesa che – con le sue povertà – tuttavia cammina con gioia verso il Regno). Il cantiere è anche entrato nel concreto, considerando l’età di conferimento dei sacramenti, l’ordine di successione (quello naturale è Battesimo, Confermazione, Eucaristia), il ruolo dei genitori e di padrini e madrine, l’organicità della proposta catechistica, e l’integrazione di questa con attività formative complementari. Il Cantiere continuerà a lavorare, anche – come sarebbe desiderabile – verso la sintonia con le altre Diocesi della Metropolia e della Regione.

Nel Cantiere della Fede sono chiamati ad un contributo decisivo l’Azione Cattolica, le associazioni, i movimenti e i gruppi ecclesiali.

Non c’è Cielo senza Terra

La carità

8. Quanto più lo sguardo dell’uomo deve innalzarsi al cielo, a Dio, tanto più, allora l’uomo deve sentirsi impegnato ad amare la terra, e a rinnovarla con l’amore che è dono dello Spirito Creatore, incominciando dai privilegiati del Vangelo, i poveri e i sofferenti. Non c’è terra senza cielo, ma anche, dunque, non c’è cielo senza terra.

Già Salomone si chiedeva: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!» (1 Re, 8, 27). Dove abita Dio, veramente?

La missione che nella chiesetta di San Damiano il Crocifisso affida a san Francesco d’Assisi, è quella di riparare la casa di Dio che va in rovina. Il Santo intende la casa di Dio immediatamente nel senso ristretto delle cappelle sparse per la piana di S. Maria degli Angeli, e poi nel senso proprio e ampio della comunità cristiana. Ogni uomo ed ogni donna, cioè, è la dimora di Dio, in quanto incorporati a Cristo per il battesimo, ma ancora prima in quanto ogni essere umano è stato creato in Cristo e reca in sé l’immagine divina. Se però c’è un essere umano a cui il Dio di Gesù Cristo è più legato, questo è il sofferente, colui nel quale tale immagine è più sfigurata e più difficilmente riconoscibile. La casa di Dio che va in rovina è l’uomo a cui viene sottratta la vita nella dignità di Figlio di Dio, nei mille modi in cui questa sottrazione può avvenire. Questo è il senso della dedizione di san Francesco ai «fratelli lebbrosi», come egli insegna ai frati a chiamarli.

Ogni uomo che giace nell’umiliazione, è una casa di Dio che va in rovina e attende d’essere riparata. In un certo senso, ciò vale per ogni creatura. Dio è amore e abita in ogni gesto dell’amore. Quando l’amore riempirà l’universo, si sarà compiuto il disegno del Creatore, i cieli e la terra saranno pieni della sua gloria, e si sarà realizzata la volontà di Dio, come in cielo così in terra.

9. La Chiesa è una famiglia di figli e fratelli, legati fra loro dal vincolo della carità. La Chiesa è una fraternità, che pratica e offre carità. Con le armi della carità, combatte con il male in tutte le sue forme, per fare del nostro mondo uno spazio fraterno.

La fraternità è una sfida anzitutto per la nostra Diocesi e per le comunità parrocchiali e religiose. La capacità di affrontare evangelicamente i conflitti che ci attraversano e di comporli nella comunione è la prima forma di testimonianza che dobbiamo offrire ai nostri contemporanei.

La presenza nelle parrocchie di associazioni e movimenti è una ricchezza, ma dallo stare semplicemente gli uni accanto agli altri occorre camminare verso un raccordo, in cui i carismi dei gruppi e dei fondatori si sintonizzano nell’armonia fondata sulla preminente appartenenza alla Chiesa.

Le stesse parrocchie sono chiamate a collaborare tra loro, mettendo insieme le risorse umane, strutturali e pastorali, a livello di città o di vicarie. La riflessione avviata sulle Unità pastorali da organizzare in Diocesi, aiuterà a superare gli individualismi e i campanilismi.

10. Siamo chiamati a crescere nello stile della sinodalità, attivando e valorizzando tutti gli organismi di ascolto e discernimento: i consigli pastorali parrocchiali, vicariali e diocesano; i consigli episcopale e presbiterale; le vicarie zonali; gli incontri dei vicari zonali e degli uffici di Curia, l’assemblea diocesana in vista di celebrare – quando verrà il momento giusto – il Sinodo diocesano.

Nel frattempo, rappresentando l’Arcidiocesi, in quattro parteciperemo alle due assemblee sinodali di novembre e di aprile, per poi trasferirne i risultati nelle nostre pratiche.

11. Siamo chiamati ad allargare gli spazi della inclusività, perché nella Chiesa – come ripete Papa Francesco – c’è posto per «tutti, tutti, tutti».

Occorre abbracciare con il Vangelo anche le persone e le unioni ignorate dalla pastorale tradizionale, e in questo sarà strategico il ruolo del Consultorio diocesano.

Annoto anche un piccolo passo, a livello liturgico, verso il mondo della disabilità, in quanto quest’anno l’Eucaristia per i Santi Martiri è stata animata anche nella lingua dei segni.

12. La Bolla Spes non confundit (8-15) indica alcuni ambiti in cui porre segni di speranza. Don Tonino Bello avrebbe detto che bisogna «organizzare la speranza», attraverso iniziative concrete di carità. A questo è chiamata primariamente la Caritas diocesana, e sarebbe necessario che essa venisse integrata con una Caritas parrocchiale ovunque.

Nella missione della carità sono chiamati a coinvolgersi sempre più, con uno speciale apporto profetico, i Religiosi e le Religiose; ma anche le Confraternite, che hanno un potenziale ancora attualissimo, e i Comitati delle feste patronali, affinché ogni espressione di devozione sia anche fonte di sollievo per i bisognosi.

13. A partire dal contributo offerto durante l’Assemblea diocesana dal Cantiere della Carità, consideriamo gli ambiti di impegno per la nostra Chiesa Idruntina.

Come sempre, in primo piano i poveri, i fragili e i marginali. I rapporti statistici rilevano che essi sono purtroppo in aumento, con numerose famiglie costrette a risparmiare anche sul cibo e sui farmaci.

E quindi gli ammalati. I Vescovi italiani hanno denunciato che il progetto di riforma con la cosiddetta autonomia differenziata delle Regioni potrebbe portare a diseguaglianze tra cittadini italiani, a danno del Sud e dei nostri ospedali. Su questo dobbiamo tenere alta la soglia di vigilanza.

Gli anziani, così spesso abbandonati nella solitudine e nell’abbandono, nonostante il credito che possono vantare verso le nuove generazioni e la preziosità dell’esperienza che ad esse possono trasmettere.

I giovani, che partono per andare altrove a cercare lavoro e non tornano più. O che hanno messo su famiglia, ma che per difficoltà economiche non mettono al mondo i figli, che pure desidererebbero. Nella Consulta della Pastorale Giovanile è nato il progetto di un’Assemblea diocesana riservata ai giovani, da tenere nelle modalità e negli orari per loro più adatti.

Le donne, che hanno diritto a maggiore spazio nella società nella Chiesa stessa. Anche nella discriminazione economica e lavorativa verso di loro, si esprime una forma di quella violenza, che culmina nella orribile tragedia del femminicidio. Vi invito a leggere insieme in famiglia e nelle comunità l’intenso e istruttivo discorso che il padre di Giulia Cecchettin ha tenuto il 5 dicembre 2023, al termine dei funerali della figlia.

I lavoratori sono talora retribuiti in misura inferiore a quella legale o assunti in modo irregolare. E non dappertutto è garantita la sicurezza, come pochi giorni fa ha denunciato il Presidente della Repubblica, pochi lamentando che gli invalidi e i morti sul lavoro sono sempre troppo numerosi.

Anche la situazione nelle carceri è grave. Crescono i suicidi tra i detenuti e tra i membri della Polizia Penitenziaria, a causa delle condizioni insostenibili della vita nei luoghi di detenzione. Sono stato più volte nel penitenziario di Lecce, dove lavorano vari operatori provenienti dal territorio diocesano, e si impegnano con passione alcuni volontari che sono membri delle nostre parrocchie. Il Giubileo ci chiede di portare in carcere un vento di speranza.

La fraternità va praticata verso la nostra città. L’ultima Settimana sociale ci ha stimolati a riflettere sulla democrazia, che patisce stanchezza e disaffezione. Lo stesso accade verso l’Unione Europea. I cristiani sono cittadini e, come ha insegnato Paolo VI, la forma più alta di carità è la politica, il prendersi cura della propria città.

Ma oggi, quando tutto è connesso, l’intero pianeta è la nostra città, e dobbiamo avere a cuore ogni paese ferito dalla guerra, dalla povertà, dalla violazione dei diritti umani. Il nostro Battesimo e l’Eucarestia a cui ci accostiamo, ci danno la forza di impegnarci instancabilmente per la pace e la giustizia.

La fraternità, infine, riguarda l’intero cosmo. L’ecologia integrale è una spiritualità, oltre che una risposta alla crisi climatica, come ci insegna l’enciclica Fratelli tutti. Accogliamo l’invito del Papa a fare di ogni parrocchia un’oasi ecologica.

Anche in questo Cantiere della Carità, sarà fondamentale l’impegno delle aggregazioni laicali, oltretutto perché in tali settori è possibile collaborare con i gruppi non confessionali ma interessati ai valori che sono gli stessi del Vangelo.

14. Forse, il nome da dare oggi alla carità che opera sostenuta dalla speranza, è resilienza.

Mi piace, perciò, riportare alcune frasi di un impressionante esempio di resilienza, un testimone della fede dei nostri giorni, un santo “della porta accanto”. Si tratta di Sammy Basso, morto lo scorso 5 ottobre. È uno stralcio del suo testamento, una straordinaria testimonianza di amore per Dio e per la vita.

«Devo tutta la mia vita a Dio, ogni cosa bella. La Fede mi ha accompagnato e non sarei quello che sono senza la mia Fede. Lui ha cambiato la mia vita, l’ha raccolta, ne ha fatto qualcosa di straordinario, e Io ha fatto nella semplicità della mia vita quotidiana.

«Non stancatevi mai, fratelli miei, di servire Dio e di comportarvi secondo i suoi comandamenti, poiché nulla ha senso senza di Lui e perché ogni nostra azione verrà giudicata e decreterà chi continuerà a vivere in eterno e chi invece dovrà morire. Non sono di certo stato il più buono dei cristiani, sono stato anzi certamente un peccatore, ma ormai poco conta: quello che conta è che ho provato a fare del mio meglio e lo rifarei. Non stancatevi mai, fratelli miei, di portare la croce che Dio ha assegnato ad ognuno, e non abbiate paura di farvi aiutare nel portarla, come Gesù è stato aiutato da Giuseppe di Arimatea. E non rinunciate mai ad un rapporto pieno e confidenziale con Dio, accettate di buon grado la Sua Volontà, poiché è nostro dovere, ma non siate nemmeno passivi, e fate sentire forte la vostra voce, fate conoscere a Dio la vostra volontà, così come fece Giacobbe, che per il suo essersi dimostrato forte fu chiamato Israele: Colui che lotta con Dio.

«Di sicuro, Dio, che è madre e padre, che nella persona di Gesù ha provato ogni umana debolezza, e che nello Spirito Santo vive sempre in noi, che siamo il suo Tempio, apprezzerà i vostri sforzi e li terrà nel Suo Cuore».

15. Faccio mia la conclusione della Bolla Spes non confundit: «Il prossimo Giubileo sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cf 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore. Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: “Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri».

Vegli sul nostro cammino Maria SS.ma, Madre del Signore e Madre nostra, Stella della speranza. Amen.

Otranto, 17 ottobre 2024

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo