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Lettera ai fedeli per la Quaresima 2024

“E voi siete tutti fratelli”

Padre Francesco con la Lettera ai fedeli per la Quaresima 2024 dal titolo “E siete tutti fratelli” torna sul tema della fraternità quale “cuore del Vangelo”. Egli suggerisce a “vivere la Quaresima come un cammino di conversione alla fraternità, attraverso i tre sentieri della preghiera, del digiuno e della misericordia” come atteggiamenti da vivere da figli e da fratelli.

“E siete tutti fratelli” – Lettere ai fedeli per la Quaresima 2024

Lettera a tutti i fedeli in occasione del Natale del Signore

NEL SEGNO DEL BAMBINO, IL DONO DI UN NUOVO INIZIO

Carissimi fratelli e carissime sorelle, il Signore vi dia pace!

 

Mi rivolgo a voi in occasione del santo Natale, invitandovi a tornare alle origini del presepio, che fu realizzato per la prima volta da san Francesco d’Assisi esattamente ottocento anni fa, a Greccio.

Il suo primo biografo, Tommaso da Celano, così ci racconta ciò che è avvenuto. San Francesco «meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.

«A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne.

«Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.

«E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.

«Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia» (Vita prima di san Francesco d’Assisi, XXX, 84-86: Fonti francescane 467-470).

Seguiamo san Francesco nel suo fissare lo sguardo su Gesù Bambino, che lo riempie di tanta gioia e dolcezza.

Ma dobbiamo prima chiederci: come possiamo arrivare a Dio? Lo sforzo compiuto dall’umanità per incontrare Dio nel corso dei secoli è impressionante, ma giunge alla mèta? Quanti segni l’uomo ha creduto di scorgere come provenienti da Dio: la creazione, le rivelazioni, alcuni luoghi o eventi considerati propizi… Ma sono segni sicuri? Molta ambiguità permane ancora in essi.

Ora, nella notte di Natale, Dio squarcia il cielo e parla all’uomo, raggiungendo e oltrepassando il nostro desiderio. Lo fa attraverso il segno indicato ai pastori: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia» (Luca 2,12). Il segno che Dio offre all’uomo, è un bambino. Che cosa esso esprime?

Da un lato, il bambino significa la piccolezza, la vulnerabilità, ma anche l’affettività, la tenerezza. Da un bambino non dobbiamo difenderci, anzi dalla sua inermità ci sentiamo disarmati, e dalla sua dolcezza ci sentiamo attratti. Ebbene Dio ci invita alla fiducia nei suoi confronti. Talora l’umanità ha raffigurato Dio con connotazioni tremende. A Natale il Dio di Gesù Cristo, attraverso il Bambino di Betlemme, dice all’uomo che non deve temerlo, ma che al contrario può abbandonarsi alla relazione con Lui in piena fiducia.

Dall’altro lato, il bambino significa la possibilità di un nuovo inizio. È così quando nasce un bimbo in una famiglia: se tutto era fermo, a partire dal bambino che è nato tutto si rimette in marcia. I ruoli sono rinnovati nella relazione con il neonato, e si riprende a progettare il futuro. Il bambino porta speranza e dona futuro. Nel Bambino di Betlemme, Dio ci annuncia che per ognuno di noi è possibile un nuovo inizio. Qualunque sia il modo in cui abbiamo speso la nostra vita, giusto o sbagliato, con Gesù Dio dona ad ognuno di noi la possibilità di ricominciare, Dio ci apre davanti un orizzonte ed un cammino, Dio ci dona un futuro.

 

Nel 2019 al Presepe Papa Francesco ha dedicato la Lettera apostolica Admirabile signum, raccomandando di comporlo nelle chiese, nelle case, ma anche – se possibile – nei luoghi di lavoro e negli spazi comunitari, in quanto aiuta anche noi ad incontrare con i sensi del corpo e a rivivere la storia che si è svolta a Betlemme.

Inoltre, in questo anniversario del Presepe di Greccio, il Papa ci rende possibile ricevere il dono dell’Indulgenza dall’8 dicembre 2023 al 2 febbraio 2024, visitando come pellegrini qualsiasi chiesa francescana in tutto il mondo. Le condizioni dell’indulgenza sono quelle consuete: Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Occorre poi almeno sostare davanti al Presepio preparato nella chiesa francescana, concludendo con la recita del Padre Nostro e del Credo, e con l’Invocazione alla Sacra Famiglia e a San Francesco d’Assisi, che di seguito vi riporto.

 

«O Buon Gesù, contemplando questo Presepe, ti chiedo la grazia del perdono dei miei peccati. Tu sei il sole che sorge dall’alto, fatto carne per illuminare coloro che vivono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Hai fatto la tua casa tra noi e ci hai amato fino a dare la vita per noi. Non sei venuto per condannare il mondo ma per salvarlo. Dammi la grazia del pentimento sincero e l’umiltà di riconoscere la mia fragilità. Donami la fede nella tua misericordia e rinnova in me la gioia della tua salvezza.

«Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa, insegnaci la gioia degli umili e di coloro che credono nelle promesse del Signore. Aiutaci a proclamare la grandezza del Dio che accompagna e salva la nostra sofferente umanità. Sei l’alba di una nuova creazione. Tu sei Vergine fatta Chiesa, sei Madre di grazia e di misericordia. Ascolta la nostra supplica per la tenerezza del tuo Cuore Immacolato.

«San Giuseppe, servo giusto e fedele del Signore. Sei un custode santo e generoso. Non privarci delle tue cure, pellegrini smarriti alla ricerca della vera patria. Proteggi la Chiesa dalle insidie del maligno e insegnaci a confidare in Colui che ha dato il suo Figlio unigenito per liberarci dal peccato, dal male e dalla morte.

«San Francesco d’Assisi, tu che hai tanto amato Cristo povero e umile da voler rivivere a Greccio, con fede e devozione, la notte della sua nascita a Betlemme, intercedi per noi affinché possiamo contemplare con cuore puro la bellezza dell’incarnazione del Figlio di Dio e la dolcezza del suo sguardo che ci chiama a una vita nuova. Amen».

 

Carissimi, sostando davanti al Presepe, vi auguro di fissare gli occhi su Gesù Bambino per incontrare Dio, a cui tende il desiderio del nostro cuore inquieto, e la gioia di impegnarci con ferma speranza a costruire un mondo più giusto e fraterno, nel nostro tempo difficile, ma riempito dalla presenza del Signore, ieri, oggi e sempre.

 

                          Otranto, 25 dicembre 2023

 

✢ Francesco Neri, OFMCap

     Arcivescovo

 

Messaggi del Vescovo

Natale…per convertirsi al Vangelo

Lettera di Natale alle famiglie

 

Carissima Famiglia,

come negli anni passati, busso alla tua porta, anche in questo 2019, per affidarti, sorridente, confidente e amico, il mio biglietto augurale:

Auguri affettuosi di un sereno e santo Natale nella pace del cuore!

E anche quest'anno, voglio accompagnare le parole dell’augurio e dell’affetto con un’immagine espressiva ed eloquente: con un’icona natalizia recuperata dalla tradizione di bellezza della nostra arte sacra locale. Si tratta di un dipinto ad olio su tela della prima metà del Settecento di un ignoto pittore salentino e conservato nel Convento dei Farti Minori di Galatina. Un’immagine della Notte Santa molto semplice ed essenziale: una mangiatoia di pietra, con poca paglia e un lenzuolino bianco, appena visibili il bue e l’asino, in primo piano un pastore inginocchiato, lacero e scalzo, a rappresentare tutti noi, in atto di adorazione. E poi la Santa Famiglia a illuminare la scena.

Una geometria simbolica di sguardi: Maria e il pastore guardano il piccolo neonato. Gesù guarda, da un lato, in alto: il cielo. Giuseppe guarda, dall’altro lato, in basso: la terra. Nessuno guarda noi: così che, in punta di piedi, ci avviciniamo anche noi, per inginocchiarci nell’adorazione e per sentirci avvolti dal pleroma della gloria (al cielo) e della pace (in terra) e per contemplare il mistero dell’Incarnazione, con il consenso della fede, e dire il nostro sì. Grazie, Padre, per averci donato tuo Figlio. In Lui, nel Figlio, sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra.

Ci colpisce lo sfondo povero e desolato. Non c’è un tetto – di canne o di frasche – ma la Santa Famiglia è esposta a tutte le intemperie metereologiche e naturali. Alle loro spalle un rudere di muro, dietro al quale si intravede un albero, spoglio, un torso di tronco inclinato, quasi divelto e cadente.

Ci vengono in mente i catastrofici eventi metereologici e naturali di questi ultimi mesi che hanno flagellato le nostre coste, venti rabbiosi che hanno abbattuto alberi (forse anche qualche ulivo già morto e secco, tra i tanti che purtroppo vediamo, spettrali, nelle nostre campagne) e fatto altri danni. Se allarghiamo lo sguardo a tutto il Paese, ecco le immagini dell’acqua alta o di diverse inondazioni e allagamenti locali: altre distruzioni.

E poi lo sappiamo: la forza degli eventi naturali appare resa più distruttiva dai cambiamenti climatici che hanno tropicalizzato il nostro clima (siccità che si alterna a trombe d’aria e tifoni, scioglimento di ghiacciai e innalzamento del livello del mare, perfino – nel nostro Mediterraneo – presenza di pesci da mari caldi).

Sappiamo bene che si tratta di cambiamenti indotti, o almeno favoriti, da comportamenti umani. Questo vuol dire che potremmo evitarli correggendo i nostri comportamenti, ma è proprio questo che non sappiamo o non vogliamo fare! E ci arrendiamo e siamo, insieme, vittime e colpevoli. Quanto tempo per attivarci, se pure lo facciamo! Si tratti della xylella o del polo siderurgico di Taranto: che difficoltà ad impostare un progetto di conversione per il bene comune!

Il Papa ci ha offerto una riflessione cristiana complessiva: una visione di ecologia integrale. Riusciamo a guardare al Natale con gli occhi della fede cristiana e perciò di un’ecologia integrale?
Sarebbe un Natale senza sprechi. Non un Natale consumistico, artificiale, di plastica, ma un Natale sincero, spirituale, del cuore.
E soprattutto sarebbe la festa della nostra possibile liberazione. Sì, il Liberatore è nato, è venuto – come avevano promesso i profeti –, è tra noi e ci indica, con il suo Vangelo, la via della salvezza.

La povertà dipende da noi tutti, dai nostri sistemi economici ingiusti e dal commercio iniquo ed egoista: possiamo liberarcene. L’inquinamento, il consumo selvaggio delle risorse ambientali, lo spreco dipendono da noi. Possiamo liberarcene.

Sì, è sempre più urgente una conversione sociale all’ecologia integrale. Ma per questo ci vuole un cambiamento radicale del modo di vivere di ciascuno: della testa e del cuore di ciascuno. Oltre egoismi, interessi, privatismi. Essendo veramente radicale, tale cambiamento non ci sarà mai senza una sincera conversione al Vangelo: una conversione che porti la pace sulla terra, tra noi e la natura. La pace che ci è donata dalla gloria di Dio nel più alto dei cieli.

Ecco la possibilità che ci offre il Natale.
Ecco la liberazione del Signore che viene.
Ecco la gioia che lui ci dona.

 

Gioia che può essere di tutto il creato. Il creato, infatti, attende la rivelazione dei figli di Dio: attende cioè la liberazione dal Vangelo di Gesù, che noi possiamo annunciare vivendolo in pienezza.

Questo ci dice, quest’anno, il Natale. Come ogni anno: Vieni, c’è Gesù; con Lui cambia la tua vita; cambia il tuo cuore; scegli il bene, scegli il Vangelo.

Sappiamo qual è il bene, ma facciamo il male. Vorremmo che trionfasse il bene, ma facciamo strada al male che non vogliamo. Siamo prigionieri di strutture di peccato che ci sembrano fortissime e sempre vincenti. Poi viene un uragano e l’albero secco e pericolante ci cade sulla testa. Sarà sempre così senza un nostro risveglio: non per fidare solo sulle nostre forze, ma per affidarci e fidarci del Signore Gesù.

Coraggio! Apriamo il cuore alla speranza! Il Natale ci dice questo, perché è annuncio di pace, di vita e di amore.

E con questi medesimi sentimenti di pace, di vita e di amore, vi abbraccio uno per uno e vi benedico.

Otranto, 25 dicembre 2019

✢ DONATO NEGRO Arcivescovo