XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Il segno nella nostra realtà

Partiamo dal rimprovero che Gesù rivolge a coloro che lo cercano: «Mi cercate perché vi siete saziati, non perché avete visto un segno». Ciò vuol dire che Gesù ci chiama ad andare al di là della superficie, per cogliervi un messaggio, un significato ulteriore che nella superficie è nascosto. Che cos’è infatti il segno? Il segno è uno strumento per comunicare. Sono segni i suoni, tra i quali occupano un posto speciale le parole; le immagini, come i disegni o i caratteri della scrittura; i gesti, come l’abbraccio o la stretta di mano; gli oggetti, come il dono. Nel segno vi è sempre un veicolo che rimanda ad una realtà che il segno rende incontrabile ma che al contempo il segno non esaurisce e si trova al di là di esso.

Dio riempie di segni la nostra vita

Ogni istante nella nostra giornata facciamo alcune esperienze, nelle quali avvertiamo come lo schiudersi dell’orizzonte, percepiamo come non esistano soltanto le cose a cui arriviamo con i nostri sensi e al di là delle cose debba esservi qualcos’altro. La prima esperienza è quello dello stupore dinanzi al miracolo dell’essere. Perché c’è qualcosa anziché niente? Perché quello che esiste è tanto armonioso e bello? Perché il cosmo, le altre persone ed io stesso, con la mia corporeità, la mia affettività, il mio intelletto? L’uomo religioso risponde: qualcuno ha pensato e fatto tutto ciò, e questo qualcuno è Dio. Vi è poi un’altra esperienza. Infatti noi non abbiamo solo sete di conoscere, abbiamo (anche più) fame di essere amati e di amare. Nella nostra storia realizziamo però come tale desiderio non trovi pieno appagamento, e anzi l’amore sia fonte di molte delusioni e di altre sofferenze. Dove dunque il nostro bisogno troverà piena soddisfazione? L’uomo religioso risponde: in Dio. Infine, facciamo l’esperienza del male, nelle sue molteplici forme: la malattia, la vecchiaia, il rovescio economico, l’insuccesso lavorativo, e comunque ineluttabilmente la morte. Spaventati ci domandiamo se c’è una presenza potente e buona, cui possiamo affidarci per trovare protezione dal male, che avvertiamo più forte di noi. L’uomo religioso risponde: Dio è l’onnipotente che è più forte del male, in lui possiamo trovare rifugio.

Gesù è il segno di Dio

Il segno per eccellenza, lo strumento di comunicazione con cui Dio entra in relazione con noi, è il Signore Gesù, «colui su quale Dio ha posto il suo sigillo». In ciò che Gesù ha fatto e ha detto, soprattutto nell’evento della sua croce e risurrezione culminante col dono dello Spirito, Dio si comunica a noi. Gesù è il sacramento che rende possibile a Dio incontrare l’uomo e all’uomo incontrare Dio. Tutte le esperienze generali che abbiamo elencato prima, devono essere ricapitolate in Gesù, all’incontro col quale sono preliminari. E da Gesù scaturiscono come un prolungamento, la Chiesa, la Parola e i sacramenti in senso stretto, come siamo tradizionalmente abituati a pensarli.

L’opera di Dio è la fede in Gesù

Nel cristianesimo non ci sono opere da compiere, digiuni rituali, riti vincolanti, pellegrinaggi obbligatori… L’essenziale del cristianesimo è credere in Gesù, cioè tuffarsi in una relazione di fiducioso abbandono in lui, seguendolo senza riserve.

Una sequela verso la libertà

Il popolo d’Israele – era la prima lettura – preferisce la pancia piena alla libertà, e cade nella mormorazione. Com’è difficile per noi, abituati alla libertà, cogliere il valore immenso di questo bene. (Per quanto non sia esatto che il nostro paese sia veramente libero…). Ma pensiamo alle zone del mondo dove ancora c’è la schiavitù, o ai tanti paesi nei quali la donna è ancora giuridicamente discriminata rispetto all’uomo e capiremo che valore immenso è la libertà. A questo ci conduce la sequela di Cristo. Ricordiamolo, quando saremo tentati di anteporre la comodità alla libertà, e di tornare a ciò che eravamo prima dell’incontro con Gesù.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo