Dove abita Dio?
Se chiediamo ad un induista dov’è Dio, quest’uomo stenderà il braccio sul cosmo, e ci risponderà che Dio è lì, in ogni foglia, in ogni montagna, in ogni stella, in ogni porzione della creazione in cui siamo immersi. Se chiediamo ad un buddista dov’è Dio, egli ci additerà un monaco assorto nella meditazione e ci risponderà che Dio è lì, nello sforzo di purificazione e concentrazione che l’uomo compie per incontrare l’eterna beatitudine. Se chiediamo ad un musulmano dov’è Dio, egli ci indicherà il cielo e ci risponderà che Dio abita lì, nelle altezze più sublimi, elevato sopra ogni cosa nella sua maestà e trascendenza. Se viene chiesto a noi cristiani dov’è Dio, noi rispondiamo anche tutte queste cose, ma proseguiamo dicendo che Dio è nell’amore. Ovunque c’è un gesto sincero di amore, una stretta di mano, un abbraccio o un bacio, una parola di stima e incoraggiamento, il cielo si apre e facciamo esperienza di Dio. Dio è nell’amore e dove c’è l’amore c’è Dio. È quanto afferma il brano giovanneo: «Chi ama è da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio».
Dio è amore
Perché? Perché per noi cristiani «Dio è amore», come prosegue la prima lettera di san Giovanni. A noi, abituati da duemila anni a questa dichiarazione, la cosa può sembrare ovvia, ma duemila anni fa essa suonava rivoluzionaria e scandalosa. Per gli uomini dell’antichità, infatti, Dio poteva essere amato ma non poteva amare. Amare qualcuno significa riconoscere la propria indigenza. Dire a qualcuno «ti voglio bene», significa dirgli al contempo «io ho bisogno di te, io non nascerò mai se non dopo l’incontro con te, io non sono me stesso se non insieme a te». E come potrebbe ¾ era l’obiezione degli antichi ¾ Dio aver bisogno di qualcuno o di qualcosa? Dio può dunque essere amato ed anzi questo è il movimento che determina tutta l’azione del cosmo e della storia, ma non può amare. Affermare allora che Dio è amore ¾come fa san Giovanni ¾ significava gettare una luce nuova e stupefacente sul mistero di Dio.
A partire da che cosa scopriamo che Dio è amore? A partire da Gesù di Nazaret. In ciò che Gesù ha detto e ha fatto, nel modo in cui ha incontrato le persone, nel suo dono della vita, nella sua risurrezione, l’amore di Dio si manifesta e si fa incontrare. Da qui ci muoviamo per addentrarci nella pagina evangelica, che è un oceano abissale e senza sponde.
Il comandamento dell’amore
Gesù lascia ai suoi compagni il comandamento dell’amore. Non notiamo una sorta di dissonanza? Gesù usa il linguaggio della legge per l’amore, che è l’unica realtà che non si può comprare o costringere in alcun modo, perché l’amore o è una realtà assolutamente libera o non è neppure. Com’è possibile comandare l’amore? Inoltre Gesù non usava ricorrere alla legge, a qualcosa di esterno, ma piuttosto puntava alla fiducia, a qualcosa di interiore, perché se la pressione viene dall’esterno assomiglia ad una violenza mentre se la spinta parte dall’interno si tradurrà nel massimo della libertà e generosità. A vedere più attentamente, ci accorgiamo allora che Gesù parla il linguaggio del desiderio. Ciò che egli presenta in forma di comandamento, è il desiderio più profondo del suo cuore. Collochiamo le sue parole nel contesto in cui vengono pronunciate. Si tratta dell’ultima, drammatica sera della sua vita. Alla vigilia della morte, Gesù sta lasciando un gruppo che non è né unito a lui, né unito tra coloro che lo compongono. E allora manifesta il profondo del suo desiderio: la realizzazione dell’unità attraverso l’amore: «questo è ciò che desidero, ciò che mi aspetto da voi, ciò che con tutte le mie forze vi pongo come sentiero perché è l’unica cosa importante: che vi amiate…». Il linguaggio del desiderio è potenziato dal termine che Gesù usa per designare il modo in cui si avvicina a noi: «vi ho chiamati amici», e l’amicizia è un’espressione di desiderio. Infatti mentre fratelli e sorelle si nasce, ritrovandosi tali senza scegliersi, gli amici si scelgono tra di loro, perché si desiderano. Tale linguaggio è infine confermato e reso esplicito: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi».
Il cristianesimo è allora un’offerta di amicizia. Essere cristiani significa entrare in questa relazione di amicizia con il Signore Gesù, in cui Dio si fa a noi prossimo, e condividerne come avviene tra amici i doni, i desideri e l’impegno. Essere cristiani significa ricevere e onorare questa amicizia, facendosi strumenti del desiderio di unità e pace che è nel cuore stesso Dio, facendosi parola del suo linguaggio di pace e riconciliazione, nell’ambiente concreto dove siamo inseriti.
È possibile ciò? Ci è possibile amare come ci ha amati Gesù? Se siamo sinceri dobbiamo rispondere di no, perché quello che è il nostro bisogno più vitale è anche ciò che ci rimane sempre inattingibile. Non sappiamo amare… Ecco allora che Dio stesso ci viene in aiuto, donandoci il suo Spirito, come mostravano gli Atti nella prima lettura. Nel dono dello Spirito, che è l’amore stesso di Dio fatto persona, ci diventa possibile amare.
Ne verrà un frutto, la gioia: «questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Se è vero che niente assomiglia all’inferno più di un cuore abitato dall’odio, è anche vero che non c’è nulla qui sulla terra di più vicino al paradiso della scelta di vivere nell’amore. Certo, si dovrà pagare qualche prezzo per rimanere nell’amore, ma il nostro cuore sarà pieno di gioia, la stessa gioia di cui era pieno il cuore di Gesù.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo