II Domenica di Quaresima – Anno B

Nelle righe che precedono la narrazione della trasfigurazione i vangeli collocano il primo annuncio della croce da parte di Gesù. Ora, come avverrebbe ad esempio in una famiglia in cui una persona annunciasse ai suoi cari la diagnosi di una malattia grave che gli lascia solo poco tempo da vivere, così l’annuncio della fine cruenta e imminente da parte di Gesù aveva gettato i suoi compagni in un cupo stato di abbattimento. A partire da ciò, il mistero che oggi contempliamo ha la funzione di aiutare i discepoli ad accettare l’annuncio scandaloso della croce, anticipando loro che la meta finale del cammino di Cristo e dei cristiani non è il livore del sepolcro, ma lo splendore dell’immortalità, quello stesso che ora viene loro concesso di intravedere. La salita sul monte della trasfigurazione li prepara alla salita sul monte della passione.

Ne sono testimoni Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli prediletti, sempre in testa nelle liste degli apostoli, gli unici ammessi nella camera della fanciulla morta e poi risuscitata da Gesù, gli unici invitati dal Signore a tenergli compagnia nel momento doloroso del Getsemani: essi sono chiamati a diventare i pilastri della chiesa.

Il luogo dell’azione è un alto monte. Che si tratti del Tabor, secondo l’interpretazione tradizionale, o dell’Hermon, come suggeriscono alcuni esegeti, è in fondo secondario. Ciò che ci interessa è che nella Bibbia, come in ogni religione, la montagna è il luogo, che per la sua altitudine meglio si presta all’incontro con Dio. Qui, il Signore Gesù si trasfigura.

Le vesti, nella mentalità semitica figura della persona stessa, assumono il colore bianco, espressione della gloria divina, che si riflette negli eletti (Ap 3,5). Il corpo di Gesù, dunque, la sua umanità, diventano luminosissimi. Gesù diventa per un istante luminosissimo, bellissimo.

Intorno al Cristo vi sono poi Mosè con Elia, le due guide somme del popolo ebreo, simbolo rispettivamente della Legge e dei Profeti, quindi della totalità della Scrittura. Essi testimoniano che in Gesù trovano pieno compimento tutte le promesse veterotestamentarie. Ma Mosè ed Elia sono stati due capi che hanno sofferto a causa della missione loro affidata. Mosè aveva il peso dei conflitti e delle ribellioni del popolo, Elia fu costretto a fuggire nel deserto perché la regina Gezabele voleva ucciderlo a motivo della sua predicazione scomoda. Di che cosa, allora, stavano parlando fra loro Mosè, Elia e il Signore Gesù? Proprio del modo in cui, come quello dei suoi precursori, si sarebbe concluso il ministero di Gesù: con il rifiuto, l’insuccesso, la sofferenza.

Infine, la presenza della nube costituisce una chiara allusione alla nube luminosa che concretizzava la sollecitudine divina verso Israele, guidando il popolo nel cammino attraverso il deserto.

Da essa esce la voce del Padre – «Ascoltatelo!» -, che esorta i discepoli a seguire Gesù, specificamente nel cammino della croce, che il Cristo ha poco prima annunciato come proprio, ed additato ai discepoli.

Il mistero della trasfigurazione di Gesù si presenta dunque come una teofania, cioè una manifestazione di tutta la Trinità: il Padre fa udire la propria voce; il Figlio annientatosi nell’incarnazione, risplende della propria gloria divina; lo Spirito è la luce stessa nella quale Gesù si trasfigura.

Gesù felice

Incominciamo col chiederci quale fosse lo stato d’animo di Gesù durante la trasfigurazione. È facile rispondere che Gesù era felice. Un aggettivo che – probabilmente – nella predicazione non viene mai applicato a Gesù. La spiritualità occidentale è molto incentrata sulla croce, ma questa è una via per la meta, che è la gloria: per crucem ad lucem. La spiritualità orientale, invece, è più incentrata sulla gloria. Così da noi il segno più caratteristico della santità mistica è la stimmatizzazione, come in san Francesco d’Assisi, mentre in Oriente il segno è l’illuminazione, come in san Serafino di Sarov. È importante, per noi che siamo la chiesa in pellegrinaggio, impararare a contemplare Gesù felice, per imparare a vivere una fede gioiosa. Alle sue missionarie della carità, madre Teresa di Calucutta raccomandava appunto di diffondere gioia tra i più poveri tra i poveri.

La bellezza di Gesù

Sostiamo ancora su Gesù trasfigurato, che diventa bellissimo. Quando Pietro esclama: «È bello per noi stare qui con te», sta dicendo più esattamente: «Come sei bello, Gesù…». Sì, Gesù è bellissimo. Ma che bellezza è la sua? Certamente, Gesù sarà anche stato un bel giovane uomo, attraente nel suo aspetto oltre che nella sua parola e nelle sue azioni. Ma la sua bellezza ha radice nell’interiorità. Gesù è bello per lo stesso motivo per cui è felice, e cioè perché ha scelto di stare nella volontà del Padre, perché ha scelto di abbracciare – anche attraverso la croce – la missione di amare sino alla fine. Gesù è bellissimo perché ama infinitamente.

Solo Gesù con noi

Terminata la trasfigurazione, rimane solo Gesù con i suoi compagni, e i suoi compagni hanno solo Gesù. Il Gesù di tutti i giorni, il Gesù che aveva bisogno di mangiare e bere, e si addormentava nella barca spossato dalla fatica. Di lui il Padre dichiara ai discepoli, come nel battesimo, «Questo è mio Figlio», ma ora aggiunge: «Ascoltatelo! Ascoltatelo adesso che vi parla della croce. In lui vi ho detto tutto e non ho altro da aggiungere». Ebbene, se Dio ci dà un consiglio penso sia opportuno ascoltarlo. Gesù è il centro della nostra fede. In un tempo in cui proliferano visioni e messaggi e santoni, dobbiamo ricentrarci su Gesù, soltanto su Gesù, l’unico rivelatore di Dio.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo