Da pochi giorni abbiamo cominciato il cammino della Quaresima che ci condurrà fino alla Pasqua del Signore. In tutti e tre i cicli liturgici le prime due domeniche sono “caratterizzate”: la prima dal racconto delle tentazioni, la seconda dal racconto della Trasfigurazione del Signore. L’evangelista Marco con poche pennellate ci presenta questo quadro dell’esperienza spirituale di Gesù. Viene data per scontata la vittoria di Gesù sulle tentazioni che è possibile solo nello Spirito e mediante la sua forza, tanto che viene descritto uno scenario nuovo e pacificato: Gesù, uomo-Dio, in pace con le fiere e servito dagli angeli. Egli è l’uomo nuovo che gode di quella stessa benedizione e alleanza che Dio stipula e concede a Noè dopo il diluvio, alleanza che è esclusivo desiderio di Dio, come ci aiuta a comprendere nel testo ebraico un particolare accento, reso bene anche dalla traduzione italiana: “Quanto a me…”, è innanzitutto Dio che si impegna a nostro favore. La benedizione di cui Noè beneficia è ri-creazione, vengono usate, nei versetti precedenti a quelli proposti dalla Liturgia odierna, le stesse parole della benedizione sulla prima coppia. Gesù che realizza questa benedizione diventa il nuovo Adamo a cui noi dobbiamo guardare. Il diluvio e il suo vero significato vengono usati da Pietro per descrivere l’azione salvifica di Cristo che vuole fare anche di noi degli uomini nuovi.
Don Tiziano Galati
Potremmo definire questa seconda Domenica di Quaresima come la Domenica della consegna del Figlio amato. Ad Abramo, esempio di ogni credente, Dio chiede il sacrificio del figlio Isacco, il figlio della promessa. Dio mette alla prova la fede del grande patriarca perché vuole verificare se, dopo aver ricevuto il dono del figlio, Abramo è ancora fedele alla parola dell’alleanza oppure ha cambiato il suo cuore. Proprio nel momento in cui la fede di Abramo raggiunge l’apice, nel momento del sacrificio, Dio interviene proibendo il sacrificio del figlio amato. La Lettera ai Romani si pone in antitesi a questo testo di Genesi presentandoci l’opera di Dio che non ha rifiutato il suo unico Figlio ma lo ha consegnato, in questo verbo è iscritto sempre il donarsi di Gesù al suo destino di Passione. A Lui è dovuto l’ascolto, l’obbedienza da parte di ogni uomo come chiede la voce del Padre, la cui presenza è significata dalla nube che coprì i presenti, sul Tabor: “Ascoltatelo!”. Un imperativo che trova la sua origine proprio nell’opera redentrice compiuta da Gesù. La Trasfigurazione è proiezione nella vicenda storica di Gesù della luce e della gloria della Pasqua (il riferimento visivo è quello alle vesti bianche, splendenti); con la Risurrezione i discepoli comprenderanno ciò che è accaduto sul monte, ma per arrivare alla Pasqua si passa attraverso la Passione, la Croce che è una necessità, espressa dal divieto, dall’ordine di non dire nulla prima della Risurrezione.
Don Tiziano Galati
Il Santuario, l’Arca dell’alleanza, la Legge sono mediazioni concrete della presenza di Dio.
La Legge, le Dieci Parole di cui oggi leggiamo la consegna da parte di Dio stesso, sono il segno di tutta la sapienza di Israele, esse sono il segno dell’alleanza tra Dio e il popolo, ecco perché è richiesta la massima fedeltà a queste Parole.
Nel v. 2 troviamo la solenne proclamazione dell’identità di Dio, un’identità non astratta ma che si storicizza nelle vicende della liberazione dall’Egitto, dalla terra di schiavitù: la fede di Israele è una fede concreta, storica e la sua origine non è come per i Greci ciò che riguarda la creazione, ma ciò che riguarda la liberazione.
Tutte le Parole che Dio pronuncia, anche quelle che potremmo definire “sociali”, perché riguardano il retto comportamento con gli altri, sono buone perché il Signore ne è l’origine e la causa.
Il Santuario, il Tempio è il luogo che Dio abita e nel quale la Legge trova la sua applicazione, dovrebbe essere il luogo in cui si vive il retto rapporto con Dio, ma l’uomo riesce a traviare anche le cose più sante per i suoi interessi, ecco perché Gesù cerca di riportare quel luogo alla sua originale valenza.
Gli ebrei chiedono a Gesù un segno che confermi e affermi la sua autorità, ma Paolo nella Seconda Lettura, afferma che il vero segno è Cristo Crocifisso, così come in Lui troviamo la vera Legge che supera quella consegnata ad Israele.
Per coloro che credono Gesù è la vera sapienza e la vera potenza, termini che sono da leggere nell’ottica di Dio, che è l’ottica della semplicità, e non in quella degli uomini che è quella di una presunta grandezza che davanti a Dio non sussiste.
Don Tiziano Galati
Come in Avvento celebriamo la Domenica della gioia, così in Quaresima celebriamo la Domenica della letizia che viene a noi e trova il suo fondamento non nell’opera umana, ma nella misericordia di Dio, cioè nella sua capacità di comprendere il cuore dei miseri. Proprio questo sentimento è il protagonista della Liturgia della Parola odierna.
Il Secondo Libro delle Cronache, in questo ultimo capitolo, dopo aver ricordato gli ultimi re di Israele, dà un giudizio generale di condanna che deriva dalla costatata continua infedeltà del popolo di Israele, questa viene vista come la causa dell’esilio che Israele vive.
Ma c’è un momento, c’è un punto della storia in cui Dio si ricorda del suo popolo, della sua misericordia e, allora, suscita Ciro, re di Persia, perché conceda al popolo la libertà e la facoltà di tornare nella propria terra e di ricostruire il Santuario: la speranza di questo ritorno dovuto alla misericordia divina è la causa della gioia di Israele.
La Lettera agli Efesini e il IV Vangelo sono accomunati dal considerare la grandezza dell’amore di Dio: “ricco di misericordia” la prima, “ha tanto amato” il secondo, indicano una quantità che in Dio è anche qualità che non fa conto nemmeno del peccato, anzi diventa occasione di risurrezione, di nuova vita (Ef), di salvezza (Gv).
Questa è l’azione di Dio che, comunque, necessita di incontrare una risposta nell’uomo che è l’adesione della fede.
All’uomo, a ciascuno di noi è dato il compito di aderire con tutto noi stessi all’opera gratuita dell’amore di Dio, dire il nostro “Amen” ad un’opera di misericordia che Dio compie in nostro favore, senza nostro merito. Questa è la fonte della nostra gioia.
Don Tiziano Galati
L’obbedienza del Figlio di Dio proclamata nella Seconda Lettura che lascia intravedere il mistero della Sua Morte, annunciata dalla pagina evangelica attraverso l’immagine del seme che cade a terra e marcisce, diventa provocazione per i cristiani di tutti i tempi, ma anche occasione di salvezza e di alleanza nuova. Nella Passione, vissuta “nei giorni della sua carne” dice la Lettera agli Ebrei, lasciando intravedere la crudezza della sofferenza e la debolezza della carne, Gesù di Nazareth sperimenta la difficoltà e la pienezza dell’obbedienza richiesta da una volontà più grande che Egli accetta liberamente. L’obbedienza di Gesù diventa provocazione a vivere da figli come il Signore richiede nello stipulare la nuova alleanza annunciata per bocca di Geremia. Essa è la conclusione di un lungo cammino di rinnovamento che il Signore promette per bocca di Geremia e che interessa tutto il cap.31 del libro di Geremia, un cammino che richiede la novità di vita dell’uomo, la disponibilità del suo cuore ad accettare questa alleanza. Gesù, uomo nuovo, realizza questa alleanza nuova nella sua Croce, presentata ai discepoli in questo caso come un innalzamento, esempio della sua obbedienza e causa di salvezza per “coloro che gli obbediscono”, l’etimologia greca della parola, che ritorna poi nel latino e in italiano, presuppone l’ascolto e la realizzazione di quanto si è ascoltato. Riecheggiano le parole dell’Evangelo dove Gesù dice: “Se uno mi volesse servire mi segua”. L’obbedienza del Figlio è provocazione alla nostra obbedienza e garanzia di un salvezza nella misura in cui lo seguiamo.
Don Tiziano Galati
Con la Commemorazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme comincia la Settimana Santa, la Settimana Autentica. Sentimenti contrastanti accompagnano le scene dei brani liturgici che ascolteremo (il racconto dell’ingresso in Gerusalemme e il racconto della Passione).
Gesù entra in Gerusalemme, la Città dei re, su un puledro, non viene come un re potente su un cavallo di battaglia, ma come umile servo su un cucciolo d’asina che è profezia della sua missione: egli viene come un Re di pace, un Re giusto, un Re che fa sparire i carri da guerra, che spezza l’arco con le frecce e che annuncia la pace alle nazioni, come profetizzato da Zaccaria (9,9-10).
Alla mitezza di Gesù si accompagna l’esultanza della folla di Gerusalemme, sentimento che potremmo definire ambiguo, perché non nasce dalla comprensione della vera missione di Gesù, ma dal fraintendimento che deriva dalla sua persona, da tante sue parole, dai suoi gesti.
A questa esultanza fa seguito il grido che invoca per Gesù la crocifissione durante il processo romano davanti a Pilato. “«Osanna!», «Crocifiggilo!». Si potrebbe riassumere in queste due parole, gridate probabilmente dalla medesima folla a pochi giorni di distanza, il significato dei due avvenimenti che ricordiamo in questa liturgia domenicale. Con l'acclamazione «Benedetto colui che viene!», in un impeto di entusiasmo, la gente di Gerusalemme, agitando rami di palme, accoglie Gesù che entra in città a dorso di un asino. Con il «Crocifiggilo!», gridato due volte in un crescendo di furore, la moltitudine reclama dal governatore romano la condanna dell'imputato che, in silenzio, sta in piedi nel Pretorio. La nostra celebrazione inizia perciò con un «Osanna!» e si conclude con un «Crocifiggilo!». La palma del trionfo e la croce della Passione: non è un controsenso; è piuttosto il cuore del mistero che vogliamo proclamare. Gesù si è consegnato volontariamente alla Passione, non si è trovato schiacciato da forze più grandi di Lui. Ha affrontato liberamente la morte di croce e nella morte ha trionfato” (Giovanni Paolo II, Omelia per la Domenica delle Palme, 8 aprile 2001).
Don Tiziano Galati