XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Un miracolo particolare, lungo la strada verso Gerusalemme, prima dell’immersione nel mistero pasquale. Considereremo Bartimeo, il Signore Gesù e la relazione che emerge tra i due.

Bartimeo

Bartimeo ha dei punti di debolezza. Anzitutto è un cieco. Il bene della vista è forse quello più importante tra i sensi esterni, perché chi non vede non può rendersi conto dell’ambiente, e neppure di se stesso, non potendo scoprire allo specchio la propria immagine. Il cieco è come se non fosse mai uscito dal grembo materno, come non fosse mai nato. Bartimeo è poi un mendicante, cioè uno che dipende interamente dagli altri e non ha in sé la radice della vita, la base su cui appoggiare la propria esistenza. Da queste povertà possiamo immaginare alcune altre conseguenze. Dev’essere un uomo solo, perché ad una persona così malmessa non dovrebbe esservi chi desideri accompagnarsi. Infine Bartimeo sarà un uomo spaventato, perché la sua cecità gli impedisce di rendersi conto dei pericoli che si rivolgono contro di lui, dei quali non può cogliere la provenienza, esposto com’è ad essere maltrattato e deriso anche da un gruppo di ragazzini. Non siamo un po’ anche noi come Bartimeo? Non siamo anche noi ciechi e mendicanti? Ciechi non forse perché sprovvisti di occhi efficienti, ma perché incapaci di riconoscere il senso profondo di quello che ci capita, la direzione in cui si muove la nostra storia, di trovare insomma la verità. E mendicanti, forse non di denaro, ma certo di attenzione, affetto, considerazione. Quante contorsioni e che prezzi siamo disposti a pagare perché qualcuno in qualche forma ci faccia sentire amati! Siamo tutti mendicanti d’amore.

Bartimeo ha però anche dei punti di forza. In primo luogo egli non è un rinunciatario, uno che si sia dato per vinto, che abbia detto «ormai non c’è più niente da fare», e si sia ripiegato su se stesso. No. Bartimeo lotta, superando con tutte le proprie forze gli ostacoli che si frappongono tra lui e la fonte da cui sente che può giungergli una salvezza. Bartimeo è un combattente. Inoltre è un generoso, come ci mostra il particolare dell’abbandono del mantello. Tale veste non è soltanto (secondo la mentalità orientale) l’espressione dell’identità dell’individuo, ma anche (nel caso specifico del cieco) il suo strumento di lavoro, proprio perché nel mantello gli venivano gettate le offerte. All’incontro con Gesù, Bartimeo lascia perdere tutto ciò che è e che fa, con una generosità ben diversa da quella del giovane ricco che abbiamo incontrato qualche domenica fa. E infine, forse non è tanto vero che Bartimeo non ci veda… Sì, gli occhi non gli funzionano, ma come ha saputo individuare bene la presenza ed il valore di Gesù! Accade spesso che i ciechi sappiano sviluppare molto più alcuni altri sensi esterni. Sarebbe molto facile farne numerosi esempi nel campo della musica. Analogamente, Pablo Picasso diceva che il miglior pittore sarebbe forse stato un cieco, perché capace di non farsi arrestare dall’apparenza sensibile e di oltrepassare le forme per andare all’essenza delle cose. Non confida la volpe al piccolo principe che l’essenziale è invisibile? Non si vede bene che col cuore. Ebbene Bartimeo vede col cuore! Bartimeo ha sviluppato il senso interno che gli permette di riconoscere Gesù, l’essenziale.

Gesù, fonte della luce e della vita

Se Bartimeo ci vede col cuore, Gesù ci sente col cuore. Gesù, tra la folla, percepisce il grido di aiuto, e vi si reca incontro, chiamando quasi a risorgere Bartimeo. Gesù è la luce che restituendo a Bartimeo la vista, lo fa nascere una seconda e più autentica volta. Gesù è colui che illumina e dona la vita.

La preghiera fatta con fiducia

Qual è la relazione tra Bartimeo e il Signore Gesù? Quella di una preghiera fatta con fiducia. Più volte Bartimeo va all’attacco e indica ciò che cerca. Ma ciò che lo ha salvato – lo dice lo stesso Gesù – è stata la relazione di fiducia nella persona di Cristo, ove ha colto risorse divine di vita e amore. Un grande stridore con la cultura del nostro tempo! La preghiera è qualcosa che si svolge nell’interiorità, mentre il nostro tempo è tutto incentrato sull’esteriorità (del corpo e del vestito) e sull’agire (in termini di efficienza produttiva). Poi la fiducia… Qual è la grande malattia mortale del nostro tempo? Qual è la corrente sorda, tenebrosa e tossica che attraversa i cuori e semina tante malattie, come la depressione, l’anoressia e forse anche altro? L’angoscia! L’angoscia dinanzi al futuro, e forse dinanzi al nostro passato. L’angoscia dinanzi a quello che possono farci gli altri, ma anche dinanzi a quello che costatiamo emergere dal di dentro di noi stessi. Gesù solo può liberarci dall’angoscia, Gesù che è il vittorioso sul male e sulla morte, Gesù che è il buon pastore, Gesù che è il Signore del cosmo e della storia. È dunque urgente recuperare lo spazio per una preghiera fatta con fiducia, vincendo i demoni dell’efficientismo e della paura, non temendo di sprecare tempo, come quando stiamo con una persona amata e non guardiamo affatto all’orologio. Scopriamo (o riscopriamo) la preghiera fatta con fiducia, e vedremo miracoli intorno a noi e dentro di noi. L’angoscia si dissolverà dal nostro cuore, faremo bene ogni cosa e diffonderemo la pace intorno a noi.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo