«Chi non è contro per noi, è per noi»
La situazione della prima lettura è analoga a quella della prima parte del vangelo. Viene compiuto del bene – lì la profezia, qui l’esorcismo – da parte di alcuni che non sono nel cerchio degli autorizzati ad ‘amministrare’ Dio – lì i collaboratori di Mosè, qui il gruppo dei Dodici (Giovanni protesta con Gesù: «non è uno dei nostri») -. Vi è una situazione odierna a cui ritorna utile il confronto con quelle indicate dalla liturgia della Parola, ed è il fatto del pluralismo delle religioni. Ormai da tempo anche in Italia i cattolici non hanno il monopolio della fede e nelle classi scolastiche i nostri figli si trovano ad avere come compagni di banco bambini africani o asiatici, di religione non cristiana. Che cosa dobbiamo pensare di questo fatto? Perché ci sono le altre religioni e che valore hanno? Quanto la Chiesa insegna si rifà al detto di Gesù nel Vangelo: «Chi non è contro di noi, è per noi». Tale principio viene articolato in due affermazioni successive. Da un lato, la Chiesa nulla rigetta di quanto di vero e santo sussiste nelle altre religioni. E come si può non rimanere ammirati davanti alla sublimità spirituale della mistica musulmana? O dinanzi alla nobiltà dell’itinerario di ascesi elaborato dal Buddha? O dinanzi all’esempio di impegno sociale e prassi nonviolenta che Gandhi ha messo in pratica per la liberazione dell’India, pagando la sua scelta con la vita? Certamente vi sono elementi di verità e di santità anche al di fuori del cristianesimo. Dall’altro lato, la Chiesa ritiene che tali scintille siano i riflessi della Luce vera che illumina ogni uomo, che cioè derivino da una presenza di Cristo nelle altre religioni, una presenza nascosta ma viva e operante, in quanto Cristo è più grande del cristianesimo e lo Spirito soffia dove vuole, anche fuori della Chiesa. La Chiesa dunque ci insegna ad essere onesti e a riconoscere la verità e la santità dovunque si trovino, ma ci insegna a ricollegare comunque tutto ciò al Signore Gesù. «Chi non è contro di noi, è per noi».
L’unicità di Gesù Cristo
Adesso dobbiamo farci due domande. La prima è perché dobbiamo essere cristiani? Non basterebbe infatti esserlo perché siamo nati in Italia, mentre se fossimo nati in Iran saremmo musulmani, o in India e saremmo induisti, o in Giappone e saremmo buddisti… Ad un certo punto della nostra vita dobbiamo interrogarci sull’eredità di fede che abbiamo ricevuto e sceglierla consapevolmente. Perché, dunque, essere cristiani? Adesso scendo dal presbiterio, miei fratelli, e vi trasmetto la mia risposta, in quanto per voi sono sacerdote ma con voi sono cristiano. Io trovo che l’unicità di Gesù stia in ciò: nessuno ha amato tanto quanto ha amato lui. Altri hanno trasmesso nobili verità ed offerto elevati esempi. Ma solo Gesù ha amato così tanto! Del resto è proprio su questo che si fondano le successive affermazioni della Chiesa sull’identità di Gesù e sul suo essere, sancite nei dogmi conciliari. I compagni di Gesù si interrogano sul mistero della sua presenza, si rendono conto che nessuno ha mai amato tanto quanto lui, e concludono che uno come Gesù non era uno dei tanti, ma uno specialissimo, e così via se ne ricostruisce l’identikit. Ma tutto parte dall’amore che Gesù ha mostrato: qui sta la sua unicità e qui sta – per me – il motivo per cui vale la pena di essere cristiani.
Come testimoniare Gesù e la sua unicità
Se così è, facciamoci la seconda domanda: come testimoniare l’unicità di Gesù ai non cristiani? Attraverso la solennità dei nostri luoghi di culto, gli splendori della nostra liturgia, l’elevatezza della nostra morale, l’efficienza della nostra organizzazione ecclesiastica? No: tutto questo ce l’hanno anche altre religioni, in grado non inferiore e da molto tempo prima. Piuttosto, possiamo testimoniare Gesù attraverso la qualità dell’amore che dimostriamo. Il Dio dei cristiani è un Dio sorprendente. Come abbiamo pregato nella colletta, il Dio di Gesù «manifesta la sua onnipotenza specialmente nella misericordia e nel perdono». Sorprendente, appunto, perché nel mondo la potenza si manifesta schiacciando l’altro, sottomettendolo alla nostra forza. Il Dio di Gesù, invece, sceglie di manifestare la propria divinità attraverso la forza fragile e vulnerabile dell’amore sino all’estremo del perdono. D’altronde riflettiamo: ci vuole più forza dare espressione alla nostra violenza o non piuttosto a tenere domato dentro di noi il demone dell’aggressività? È più forte chi è schiavo della propria brutalità o non piuttosto chi sceglie di dimostrare la propria superiorità attraverso il saper perdonare? Nel film Schindler List, l’industriale cerca di strappare una vittima al carnefice, dimostrando a quest’ultimo che il perdono è un’espressione di potere su chi viene perdonato. L’ufficiale nazista cade nella trappola e dice con disprezzo un «ti perdono» alla vittima designata. I cristiani testimoniano il loro Dio dicendo «ti perdono», ma per amore. I cristiani sono coloro che testimoniano Cristo amando più degli altri. Se i non cristiani vedranno che tra i cristiani c’è più amore, allora riconosceranno anche che il Signore Gesù ha qualcosa di diverso, e che lui è l’unico Salvatore.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo