Gesù doveva molto soffrire
Questa pagina, presente in tutti i sinottici e dotata di una funzione strategica, viene presentata dalla liturgia dell’anno B sotto un taglio particolare, quella del Cristo che doveva molto soffrire. Perché la necessità di questa sofferenza? Noi proviamo nel nostro intimo una ribellione verso la sofferenza, che non percepiamo come la nostra vocazione. Gesù stesso non ha amato la sofferenza, anzi si è impegnato a rimuovere la sofferenza, come i vangeli mostrano ad ogni pagina, e ha impegnato noi suoi seguaci a lottare contro la sofferenza: «avevo fame, avevo sete, ero nudo… ed avete o non avete fatto qualcosa per aiutarmi». Lo hanno capito i grandi santi che si sono dedicati a ciò. Facciamo l’unico esempio di un santo vicino a noi nel tempo e nello spazio, il beato Pio da Pietrelcina, il quale ha promosso un ospedale intitolato appunto Casa sollievodella sofferenza. E allora perché Gesù doveva molto soffrire? Perché doveva molto amare. I legami tra amore e sofferenza sono molteplici.
Chi ama dona all’amato la propria vulnerabilità
Amare significa esporsi alla sofferenza, perché chi ama accetta di poter essere ferito. Ordinariamente circoliamo nella vita circondati di una spessa armatura con la quel cerchiamo di assorbire i colpi che possiamo ricevere nelle relazioni. Ma quando amiamo, deponiamo la corazza e ci esponiamo a farci ferire. Quanto spesso l’amante non viene contraccambiato adeguatamente dalla persona su cui ha investito tanto… L’innamorato viene ignorato dalla donna che ama. I genitori vengono delusi dai figli. I figli non si sentono stimati dai genitori. L’amico viene tradito dagli amici. Dopo qualche esperienza dolorosa, siamo tentati di smettere di amare, per non soffrire più. Ma proprio questa vulnerabilità è il dono più grande che possiamo fare alla persona amata. Ora, Gesù ha amato senza aver paura di soffrire, senza smettere di amare neppure quando faceva l’esperienza amara di subire il tradimento da parte di coloro che aveva chiamato amici. Gesù ha scelto di amare comunque, anche a costo della sofferenza.
Amore di beneficenza e amore di sofferenza
L’amore ci spinge a prenderci cura della persona amata, a fare qualcosa di buono e bello per lei. Ma non siamo onnipotenti, e talora accade di non poter far nulla per dare aiuto concreto alla persona amata. È povera, e non abbiamo denaro. È disoccupata, e non abbiamo lavoro. È ammalata, e non possiamo guarirla. Ebbene, anche quando siamo ridotti all’impotenza, abbiamo però ancora una via per sovvenire all’amato, una via drammatica e misteriosa, ma reale ed efficace: possiamo soffrire per la persona amata. Ora, il Signore Gesù proprio in ciò si rivela il salvatore, non tanto per l’insegnamento ed i gesti di misericordia e guarigione, quanto per ciò che ha sofferto sulla croce. Non quando liberava gli indemoniati e raddrizzava gli storpi ci ha salvato, ma quando è morto sulla croce. Nel massimo della debolezza e dell’assurdità si è compiuta la potenza e la sapienza di Dio, in Gesù crocifisso.
L’amore spinge alla configurazione con l’amato
Amare qualcuno significa voler rinascere a partire dalla relazione con l’amato, desiderare una nuova identità, configurata sulla persona amata. Tale configurazione passa attraverso la condivisione della sofferenza. Lo spiego ricorrendo a Francesco d’Assisi, del quale la famiglia francescana contempla l’impressione delle stimmate. Nel 1224, Francesco si trovava a vivere un momento assai duro. Per come le situazioni si erano evolute, gli sembrava che la sua opera gli fosse sfuggita di mano, e addirittura rivoltata contro. Molto di più, a Francesco sembrava di aver fallito tutto e di non essersi mai trovato nella volontà di Dio. Con questa tragedia nel cuore, Francesco si ritira sulla Verna per quaranta giorni di digiuno in preparazione alla festa dell’arcangelo Michele, e fa una preghiera: «Signore, prima di morire ti domando due grazie: la prima è che io provi un po’ dell’amore che tu hai nutrito per noi; la seconda è che io provi un po’ del dolore che tu hai patito per noi». Intorno alla festa della santa Croce, Francesco vede un serafino passionato, cioè Gesù trafitto e glorificato, che gli parla: «Francesco, non temere. Tu mi hai amato con tutte le forze, ed hai voluto essere come me. Ecco, ti dono il mio amore. Ecco, ti dono il mio dolore. Tu non sei più Francesco. Tu sei un altro Gesù». Francesco, nel riaversi, scopre nelle proprie mani, nel proprio costato, nei propri piedi le tracce dell’amore e della sofferenza di Gesù, del quale era innamorato. L’amore spinge dunque alla configurazione con l’amato e alla condivisione del suo destino negli aspetti luminosi ed in quelli tenebrosi.
Chi avrà perduto la propria vita…
Gesù è colui che ha amato senza paura di soffrire. Ciò richiede – naturalmente – un superamento di sé, che Gesù per primo ha compiuto e che invita anche noi a compiere. Questo è il senso del rinnegare se stessi, prendere la croce, seguire Gesù. Gesù ci invita a fare come lui, a fidarci di lui, a tuffarci nel mistero dell’amore sino alla fine, che ama senza aver paura della sofferenza. Ne vale la pena, perché Gesù l’ha fatto per primo, e perché questo modo di perdere la vita è l’unico modo per conquistarla.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo