Carissimi fratelli, carissime sorelle,
lo scorso sabato abbiamo celebrato la Santa Messa Esequiale di Papa Francesco. Ero presente in Piazza san Pietro, assieme a presbiteri, diaconi e laici della nostra Chiesa Idruntina. La numerosissima folla, che comprendeva i cosiddetti potenti della terra e soprattutto la gente comune, come siamo noi, e tanti poveri, ha testimoniato l’amore che il Papa ha trasmesso e ricevuto negli anni del suo ministero come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale.
Riprendo alcuni elementi del suo magistero, fatto di opere e di parole, soffermandomi su quanto può essere più urgente per l’Arcidiocesi.
La canonizzazione di Martiri di Otranto
Il primo dono che abbiamo ricevuto dal Santo Padre, è stata la canonizzazione dei nostri Martiri Antonio Primaldo e Compagni, il 12 maggio 2013. Si trattò della prima canonizzazione del suo pontificato, e amava ricordarlo scherzosamente, col dire che in un solo colpo, il primo, aveva canonizzato più santi di tutti i suoi predecessori. Riascoltiamo le parole che in quella circostanza ha pronunciato sui Martiri Idruntini:
«Oggi la Chiesa propone alla nostra venerazione una schiera di martiri, che furono chiamati insieme alla suprema testimonianza del Vangelo, nel 1480. Circa ottocento persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto, furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto. Dove trovarono la forza per rimanere fedeli? Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare “i cieli aperti” – come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità».
Ecco dunque il suo primo e fondamentale messaggio alla nostra Chiesa: conservare la fede nelle tribolazioni, tenendo fisso lo sguardo sul Signore Gesù, coltivando la relazione personale con lui, lasciandoci rassicurare dall’amore divino e dall’amore umano che scaturisce dal suo Cuore (Lumen fidei, 2013; Dilexit nos, 2024).
«Tutti, tutti, tutti»
Papa Francesco ha presentato poi il modello di una Chiesa sinodale, dove tutti rivestono la stessa dignità e responsabilità in virtù del Battesimo, e missionaria, non chiusa nelle sacrestie ma in uscita, spinta dalla gioia di annunciare il Vangelo (Evangelii gaudium, 2013).
Ha promosso una Chiesa “ospedale da campo”, pronta ad accogliere e curare, dove c’è posto – con le parole che ripetuto alla GMG di Lisbona nel 2023 – per «tutti, tutti, tutti!», affidandoci il compito di elaborare strumenti pastorali per accompagnare quanti e quante non si sentono adeguatamente ascoltati e compresi oggi dal Popolo di Dio e dai suoi pastori (Amoris laetitia, 2016).
Ma egli ci ha anche ricordato che «tutti, tutti, tutti» sono chiamati alla santità (Gaudete et exsultate, 2018), a praticare la comunione dei Santi. Questa è costituita dai giganti che ci incoraggiano e ci accompagnano, come quelli a cui ha dedicato una speciale attenzione: san Giuseppe (Patris corde, 2020), e santa Teresa di Lisieux (C’est la confiance, 2023). È però altrettanto costituita anche dai santi della porta accanto, che hanno vissuto il Battesimo nel martirio della vita quotidiana, come mostra la sua ultima canonizzazione, quella di Carlo Acutis.
In questo contesto, voglio inserire la sua semplice, intensa e costante devozione alla Madonna, che ha sempre visibilmente praticato, e ha poi sigillato, volendo la propria sepoltura nella Basilica di santa Maria Maggiore, accanto all’effigie “Salus Populi Romani”.
Il nome “Francesco”
Anche la scelta del nome Papale, il nome del Santo di Assisi per il primo Papa gesuita, è stata l’eloquente enunciazione di un chiaro programma, incentrato sulla fraternità edificata mediante la misericordia, come ha fatto san Francesco.
Il Papa ha promosso la fraternità destinata ad abbracciare l’intera famiglia umana, senza distinzione di religione o etnia o cultura (Dichiarazione di Abu Dhabi, 2019; Fratelli tutti, 2020).
Si è impegnato fino all’ultimo messaggio, quello del Regina Coeli della scorsa Pasqua, per la pace e per la giustizia. Ascoltiamolo ancora: «Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte! Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità».
Ha richiamato l’urgenza della salvaguardia del creato e di abbracciare una spiritualità dell’ecologia integrale, poiché non si può continuare a vivere da sani in un mondo malato: tutto è connesso e il cosmo è un’unica grande fraternità (Laudato si’, 2015).
Ma la fraternità si nutre di misericordia, e perciò Papa Francesco ha voluto il Giubileo straordinario della misericordia (Misericordiae vultus, 2015).
Papa Francesco ha praticato la misericordia mediante la vicinanza alla gente, a cominciare da me compreso: questa infatti è la mia personale esperienza e testimonianza su di lui, quella di una calda cordialità. Ha offerto misericordia mediante lo stile dell’affabilità e della fermezza; della gentilezza, che ama salutare e pronunciare le sue tre parole “permesso”, “grazie”, “scusa”; dell’umorismo, che è un volto della gioia cristiana; della tenerezza, che è una vera rivoluzione, è «l’amore che si fa vicino e si fa concreto, è un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani» (Fratelli tutti,194).
Speciale è stata la sua vicinanza ai poveri e ai sofferenti, ai fragili e alle vittime, ai migranti e ai detenuti, ai quali ha lavato e baciato ai piedi.
Noi di Otranto abbiamo un’esperienza speciale di accoglienza verso i migranti, fin dal 1991. Lo testimonia, a pochi metri dalla nostra Cattedrale, il monumento “L’Approdo. Opera all’Umanità Migrante”, realizzato utilizzando la parte superiore della Katër i Radës, l’imbarcazione albanese affondata il Venerdì Santo del 1997. A questi il Papa ha dedicato un’attenzione speciale, orientando a Lampedusa il suo primo viaggio apostolico (8 luglio 2013), inserendo nelle Litanie lauretane il titolo mariano “Conforto dei migranti”, e facendo collocare in piazza san Pietro la scultura in bronzo “Angels Unawares” (Angeli senza saperlo), che raffigura un barcone con 140 migranti e rifugiati. E ha dedicato più volte attenzione al nostro Mediterraneo, ad esempio recandosi a Bari nel 2020 e a Marsiglia nel 2023. Raccogliamo il suo invito a che il Mare nostrum non sia né un cimitero né un luogo di conflitti, ma una piazza di incontro tra le persone e i popoli, tra l’Europa e l’Africa e l’Asia, tra le religioni e le filosofie e le arti.
Agli stessi poveri, però, il Papa oltre al cibo e all’igiene, ha donato anche la bellezza, organizzando per loro una visita alla Cappella Sistina. Tutti abbiamo bisogno di pensare e poetare, ed in questo solco egli ha dato attenzione a Dante Alighieri (Candor lucis aeternae, 2021) e a Blaise Pascal (Sublimitas et miseria hominis, 2023), sottolineando altresì la necessità della letteratura nella formazione dei sacerdoti (2024). La nostra Chiesa Idruntina ha in questo campo dei talenti speciali da custodire e condividere.
Più volte, poi, Papa Francesco ci ha ricordato che ci troviamo non tanto in un’epoca di cambiamenti, quanto in un cambiamento d’epoca, e perciò ci ha sollecitato a comprendere attentamente ed abitare consapevolmente il nostro tempo. Ne è stato un esempio la sua partecipazione, qui nella nostra Puglia a Borgo Egnazia, alla sessione del G7 sull’intelligenza artificiale (14 giugno 2024), e un po’ più su, ma sempre nel nostro Adriatico, a Trieste durante la 50a Settimana Sociale, la sollecitazione a difendere e promuovere la democrazia (7 luglio 2024).
Al culmine del suo magistero, scelgo di collocare il suo modo di vivere la malattia e la sofferenza, scegliendo di non risparmiarsi in alcun modo, fino all’ultima goccia di energia, per diffondere la luce che scaturisce dal mistero della Pasqua, come quella del cero che era stato benedetto poche ore prima nella Veglia della Risurrezione. Mentre il mondo disprezza la debolezza, Papa Francesco ha accettato l’umiliazione senza vergognarsene né nasconderla, facendo vedere che i cristiani, quando sono deboli, è allora che sono forti, come insegna l’Apostolo Paolo, perché tutto si può in Colui che ci sostiene con la sua Grazia.
Sperare contro ogni speranza
Proprio perché sostenuto dalla Grazia, Papa Francesco non è indietreggiato dinanzi alle terribili sfide che gli si sono presentate. L’Apocalisse ci presenta i quattro Cavalieri che percorrono la Terra: la fame, la malattia, la guerra, la morte. Egli si è confrontato coraggiosamente con ognuna di queste.
Personalmente, ritorno spesso alla eccezionale veglia di preghiera in tempo di pandemia, il 27 marzo 2020, allorché – lo ricordiamo tutti con emozione –, in una piazza San Pietro deserta, al cader della sera, sotto una leggera pioggia, in un silenzio interrotto ogni tanto dalle sirene, Papa Francesco è avanzato da solo verso il Crocifisso, presentando tutto il mondo al Signore, e chiedendo misericordia per l’umanità.
Se non è fuggito dinanzi al Male, se è avanzato senza indietreggiare, è stato perché sostenuto dalla fede, come ci ha ricordato nelle ultime parole, ancora di Domenica di Pasqua: «Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione. No. Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante. Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita».
Ci raccomandiamo: non dimenticarti di pregare per noi
Carissimi fratelli, carissime sorelle, Papa Francesco terminava ogni incontro, individuale e di gruppo, con la stessa richiesta: «Mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me!». Noi lo abbiamo fatto, lo stiamo facendo, e continueremo a farlo, ringraziando il Signore di averti donato alla nostra Chiesa e al nostro mondo.
Adesso, però, vogliamo fare la stessa richiesta a te, amato Padre: «Ci raccomandiamo: ricordati di pregare per noi, figli e figlie della Chiesa di Dio che è in Otranto». Al termine dell’omelia della canonizzazione dei Martiri, ci hai rivolto un’esortazione, che oggi trasformiamo in quello che noi domandiamo a te.
Ottienici, caro Padre, la fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, per annunciarlo con la parola e con la vita, testimoniando l’amore di Dio con il nostro amore, con la nostra carità verso tutti.
Ottienici che gli esempi dei santi Martiri ci spingano alla conversione, ogni giorno di nuovo domandandoci: Siamo fedeli a Gesù? Siamo capaci di “far vedere” la nostra fede con rispetto, ma anche con coraggio? Siamo attento agli altri, ci accorgiamo di chi è nel bisogno, vediamo in tutti fratelli e sorelle da amare?
Ottieni ai tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene.
Ottienici, in comunione con la Beata Vergine Maria e i Santi Martiri, che il Signore riempia la nostra vita con la gioia del suo amore. Così sia.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo