Mentre domenica scorsa l’evangelista ci ha presentato le caratteristiche della preghiera: insistenza e fiducia, oggi ci viene presentato l’atteggiamento fondamentale per cui la preghiera può attraversare le nubi: l’umiltà, come dice il Libro di Siracide, da cui è tratta la Prima Lettura e come ci fa pregare all’inizio della Celebrazione la Colletta del ciclo C.
Per parlare di questo atteggiamento Gesù usa ancora una parabola che è raccontata, letteralmente, “per coloro che erano convinti da sé di essere giusti e disprezzavano gli altri” e che vede contrapposti due uomini, descritti prima in senso generico e poi caratterizzati, uno, come fariseo e, l’altro, come esattore delle tasse o pubblicano, che sembrano salire insieme al Santuario per pregare.
Il fariseo, nome che in ebraico vuol dire “separato”, è un osservante scrupoloso della Legge di Dio tanto da vivere anche un di più rispetto a quello che la stessa Legge chiedeva (la decima su tutto quello che possiede e il digiuno due volte la settimana); la sua preghiera è fatta in piedi, formulata come ringraziamento, come è giusto che sia, che si unisce anche ad un’autoesaltazione che diventa disprezzo dell’altro, per questo il Signore, che come ricorda ancora Siracide, “non fa preferenza di persona” (35,15b), non accetta la sua invocazione, mentre accetta quella dell’esattore delle tasse, categoria sociale odiata e considerata indegna davanti a Dio, perché vissuta in un atteggiamento diametralmente opposto a quello del fariseo.
Si tiene a distanza, non osa neppure alzare gli occhi (da notare la doppia negazione che sottolinea la piena coscienza di quest’uomo di essere peccatore), si batteva il petto (verbo imperfetto che indica un’azione continuata) e diceva a Dio semplicemente di avere pietà di lui.
Gesù conclude la parabola con una sentenza dal sapore giuridico che provoca i suoi ascoltatori e parla di un radicale capovolgimento della situazione. Chi ha riconosciuto la sua colpa è stato giustificato (verbo greco al perfetto passivo, segno di un perdono che dura sempre e che è esclusiva opera di Dio), cioè perdonato, al contrario dell’altro. La motivazione di questo sta nella seconda parte dell’ultimo versetto che porta ancora una volta a considerare l’opera dell’uomo e l’opera di Dio: chi si esalta (da sé) sarà umiliato (da Dio), chi si umilia (da sé) sarà esaltato (da Dio).
Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico
