L’evangelista Luca racconta due volte ciò che accade mentre il Signore Gesù sale al cielo, alla fine del suo Vangelo e all’inizio del Libro degli Atti degli apostoli, per dire che così termina la vicenda umana di Gesù e la sua presenza fisicamente percepibile dai discepoli e comincia il tempo della Chiesa. Prima di salire al cielo il Signore Gesù affida ai discepoli il compito della testimonianza di tutto ciò che hanno visto, udito e vissuto in prima persona, negli anni della sequela del Maestro di Nazareth, passando così da discepoli ad apostoli, ad inviati.
Ciò che essi annunciano al mondo non è un semplice evento, non delle semplici parole, ma evento di grazia e parole di vita che servono per la conversione e il perdono dei peccati. Questo è l’annuncio bello che i discepoli sono chiamati a portare nel mondo. Questo è ciò che il Signore ha compiuto a favore dell’umanità come dice la Lettera agli Ebrei che ripercorre il rituale dello Yom Kippur, cioè del Giorno della Purificazione durante il quale il sommo sacerdote entrava nel Santo dei Santi con il sangue di un capro per implorare il perdono dei peccati.
L’autore della Lettera agli Ebrei rilegge questo rito nella vita di Gesù che ha offerto se stesso una volta per sempre, viene usato, nel greco, un avverbio che dice non solo l’unicità di un evento in senso numerico ma anche l’unicità dell’opera salvifica di Cristo che non può essere completata né rafforzata da nulla ma è definitiva. All’aspetto teologico-dottrinale fa seguito nella seconda parte della Seconda Lettura l’esortazione a camminare sulla strada che Gesù Cristo ha aperto verso il cielo attraverso la sua santa umanità glorificata ora in cielo. Il destino di gloria di Gesù è pronto per ogni uomo, come ricorda la preghiera di Colletta, nella misura in cui si rimane uniti al Signore nella novità della vita.